martedì 9 febbraio 2016

GUERNICA






Gernika, 26 aprile 1937. Quattro bombardieri tedeschi sganciano sulla cittadina basca un carico di bombe che spargono morte e rovina. È la prima volta nella storia che l’aviazione viene usata per colpire la popolazione civile. Franco aveva chiesto all’alleato germanico di dare al popolo basco questo sanguinoso ammonimento contro ogni segno di indipendenza e di rivolta. Non si saprà mai con precisione il numero dei morti.    
Scoppia in Picasso, che è al culmine del successo, la rabbia e l’indignazione e si dedica alla realizzzazione di un quadro dalle dimensioni straordinarie. Fa alcune prove di colore, ma rinuncia, il dipinto vivrà solo del bianco e del nero. “Era troppo in collera”, dirà Man Rey, “per darsi la pena delle sottigliezze del colore”.

Sul lato sinistro del dipinto c’è la testa di un toro che incombe sul volto di una donna che stringe fra le braccia il figlioletto morto, una sorta di Pietà laica. Sotto la donna c’è spazio per un uomo che ha in mano una spada spezzata. Al centro Picasso dipinge un cavallo straziato, simbolo delle vittime del franchismo. Sulla destra figura una donna con le braccia alzate che chiede aiuto e vendetta al cielo, e tutto il quadro presenta particolari di braccia, gambe, piedi.

Al suo primo apparire Guernica non fu accolto con unanime favore. né da parte di  dirigenti repubblicani né da parte di qualche intellettuale come Luís Aragón e Rafael Alberti. Particolarmente duro il giudizio di Buñuel: “Detesto tutto di quel quadro dalla fattura magniloquente alla politicizzazione a ogni costo della pittura”. Anche Sartre trovava esagerata la simbologia sottesa al dipinto.
Di parere opposto lo scrittore Jean Casson: “Prima di ora la pittura di Picasso aveva rifiutato ogni significato, Guernica, invece, trabocca di presenza, di sogni, di grida”. 
E c’è chi pensa che Guernica rappresenti per l’arte moderna quello che la volta della Sistina ha rappresentato per la pittura del Cinquecento.

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