Gernika,
26 aprile 1937. Quattro bombardieri tedeschi sganciano sulla cittadina basca un
carico di bombe che spargono morte e rovina. È la prima volta nella storia che
l’aviazione viene usata per colpire la popolazione civile. Franco aveva chiesto
all’alleato germanico di dare al popolo basco questo sanguinoso ammonimento
contro ogni segno di indipendenza e di rivolta. Non si saprà mai con precisione
il numero dei morti.
Scoppia in Picasso, che è al culmine del
successo, la rabbia e l’indignazione e si dedica alla realizzzazione di un
quadro dalle dimensioni straordinarie. Fa alcune prove di colore, ma rinuncia,
il dipinto vivrà solo del bianco e del nero. “Era troppo in collera”, dirà Man
Rey, “per darsi la pena delle sottigliezze del colore”.
Sul lato sinistro del dipinto c’è la testa di
un toro che incombe sul volto di una donna che stringe fra le braccia il
figlioletto morto, una sorta di Pietà laica. Sotto la donna c’è spazio per un
uomo che ha in mano una spada spezzata. Al centro Picasso dipinge un cavallo
straziato, simbolo delle vittime del franchismo. Sulla destra figura una donna con le
braccia alzate che chiede aiuto e vendetta al cielo, e tutto il quadro presenta
particolari di braccia, gambe, piedi.
Al suo primo apparire Guernica non fu accolto con unanime favore. né da parte di dirigenti repubblicani né da parte di qualche
intellettuale come Luís Aragón e Rafael Alberti. Particolarmente duro il
giudizio di Buñuel: “Detesto tutto di quel quadro dalla fattura magniloquente
alla politicizzazione a ogni costo della pittura”. Anche Sartre trovava
esagerata la simbologia sottesa al dipinto.
Di parere opposto lo scrittore Jean Casson:
“Prima di ora la pittura di Picasso aveva rifiutato ogni significato, Guernica, invece, trabocca di presenza,
di sogni, di grida”.
E c’è chi pensa che Guernica rappresenti per l’arte moderna quello che la volta della
Sistina ha rappresentato per la pittura del Cinquecento.
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