martedì 9 febbraio 2016

PIAZZA SANT'IGNAZIO







Nel 1724   Benedetto XIII convoca a Roma l’architetto napoletano Filippo Raguzzini. Quando era vescovo di Benevento aveva avuto modo di vederlo all’opera mentre curava il restauro di alcuni palazzi, compreso quello vescovile, rovinati dal terremoto che aveva colpito la città. A Roma gli affida i lavori di restauro di alcune vetuste chiese. Il Raguzzini non si limita a riparare i danni ma interviene in modo creativo ricorrendo a elementi decorativi di vario genere, cornici di stucco, nicchie, sottili profilature.
Dimostrerà tutta la sua genialità  quando gli viene affidata la costruzione dell’Ospedale di San Gallicano. È qui che inventa qualcosa di nuovo nell’edilizia ospedaliera: un ballatoio esterno al fabbricato sul quale gli infermieri potevano muoversi aprendo e chiudendo le imposte senza disturbare i malati.
Sull’onda di questo successo professionale, Benedetto XIII gli dà un altro importante incarico. In occasione della canonizzazione del loro fondatore i Gesuiti avevano ingrandita e resa monumentale la chiesa di Sant’Ignazio e il papa ritiene “disdicevole che una chiesa e una facciata così insigne resti senza il dovuto prospetto e comodità di una piazza proporzionata”. 


L’architetto studia una nuova sistemazione con un carattere di vivacissima impronta scenografica costruendo tre palazzetti animati  da un gioco di superfici concave e superfici convesse ma staccati l’uno dall’altro, che sono come le quinte di una scena teatrale e hanno lo scopo di donare al passante, che sbuca nella piazza, un punto di vista e di prospettiva a sorpresa. Le facciate sono arricchite da balconi e ringhiere in ferro battuto. Si presentano come costruzioni  minuscole e apparentemente fragili come fossero delle carte da gioco in mano a un fanciullo.

L’impresa era stata finanziata da due famiglie nobili ma non per abitarvi. Sono il primo esempio di case costruite dalla nobiltà per trarne una rendita dandole in affitto.
Tutto il complesso non piace ai romani che chiamano questi edifici “burrò” dal nome dei bureaux, i mobili da studio con molti cassetti. Non da meno è il mondo accademico che accusa l’architetto di aver deturpato la città con quelle ridicole case a forma di canterani.
L'incombente voga neoclassica metterà ancor più nell’ombra questo che è, invece, il più originale e brioso esempio di “rococò romano”.







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