Nel 1605
i Carmelitani Scalzi di Santa Maria della Scala in Trastevere commissionano al Caravaggio
una pala per una cappella privata. Doveva rappresentare la Morte della Vergine. Sanno
bene che il pittore non è nuovo alle contestazioni dei committenti, era
successo per la Madonna dei serpenti e per una raffigurazione
di san Matteo, e perciò nel contratto fissano i dettami che doveva seguire nel
rispetto delle indicazioni iconografiche volute dalla Controriforma. La morte
doveva apparire come un transito verso l’al di là.
Il Caravaggio non se ne dà per inteso e
realizza il quadro come gli pare. Intanto
rappresenta un ambiente estremamente modesto, desolato, la Vergine è vestita di un
abito slacciato sul petto, ed è distesa su qualcosa che è più un catafalco che
un letto, in una posa indecorosa e scomoda: il ventre appare gonfio e i piedi
sono nudi e sporchi, i capelli in disordine, il braccio sinistro sta in una
posa scomposta. Gli apostoli appaiono disperati e piangenti, non c’è il
silenzio che esigeva il tema.
Non si sa quanti, oltre i committenti,
abbiano visto il dipinto. Ma si conoscono le dicerie che erano subito
circolate. Si disse che il pittore aveva preso a modello il corpo di una donna
ripescata nel Tevere e che doveva trattarsi di una ben conosciuta prostituta
che aveva deciso di suicidarsi e che il Caravaggio aveva già utilizzato come
modella.
I frati
sono ben lieti di cedere il quadro al primo offerente, che è un uomo di gusto
fine. Si tratta di Pieter Paul Rubens che in quel momento è a Roma per decorare
l’abside di Santa Maria in Valicella. Acquista il quadro per conto del duca
Vincenzo Gonzaga e i frati si accontentano di 300 scudi. Presentato a Mantova,
in pubblico, il dipinto riscuoterà l’entusiasmo della gente.
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