martedì 9 febbraio 2016

LA MORTE DELLA VERGINE


Nel 1605 i Carmelitani Scalzi di Santa Maria della Scala in Trastevere commissionano al Caravaggio una pala per una cappella privata. Doveva rappresentare la Morte della Vergine. Sanno bene che il pittore non è nuovo alle contestazioni dei committenti, era successo per la Madonna dei serpenti e per una raffigurazione di san Matteo, e perciò nel contratto fissano i dettami che doveva seguire nel rispetto delle indicazioni iconografiche volute dalla Controriforma. La morte doveva apparire come un transito verso l’al di là.
Il Caravaggio non se ne dà per inteso e realizza il quadro come  gli pare. Intanto rappresenta un ambiente estremamente modesto, desolato, la Vergine è vestita di un abito slacciato sul petto, ed è distesa su qualcosa che è più un catafalco che un letto, in una posa indecorosa e scomoda: il ventre appare gonfio e i piedi sono nudi e sporchi, i capelli in disordine, il braccio sinistro sta in una posa scomposta. Gli apostoli appaiono disperati e piangenti, non c’è il silenzio che esigeva il tema.
Non si sa quanti, oltre i committenti, abbiano visto il dipinto. Ma si conoscono le dicerie che erano subito circolate. Si disse che il pittore aveva preso a modello il corpo di una donna ripescata nel Tevere e che doveva trattarsi di una ben conosciuta prostituta che aveva deciso di suicidarsi e che il Caravaggio aveva già utilizzato come modella.
I frati sono ben lieti di cedere il quadro al primo offerente, che è un uomo di gusto fine. Si tratta di Pieter Paul Rubens che in quel momento è a Roma per decorare l’abside di Santa Maria in Valicella. Acquista il quadro per conto del duca Vincenzo Gonzaga e i frati si accontentano di 300 scudi. Presentato a Mantova, in pubblico, il dipinto riscuoterà l’entusiasmo della gente.  


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