Quando
ci si trova a esaminare, a “leggere”
un’opera d’arte, è abbastanza usuale porsi il problema della sua genesi: chi
l’ha realizzata, chi l’ha commissionata, quale linguaggio espressivo aveva
corso in quel tempo. Ci si chiede ragione del “prima”, meno frequente è
occuparsi del “dopo”: quale destino ha avuto il quadro, la scultura, quali
reazioni ha suscitato nel corso del tempo, entusiastiche, denigratorie,
dubbiose?
Negli esempi che qui vengono proposti
troviamo tutta una gamma di riscontri: c’è il gradimento della novità e c’è il
rifiuto della stessa e, ancora, il ripensamento, tardivo o immediato.
In qualche caso alla base dell’opera d’arte
riscontriamo un atteggiamento adulatorio che cade quando il soggetto scompare
di scena e l’opera sopravvive senza il rivestimento cortigianesco. E succede
anche che il personaggio incensato non gradisca affatto il modo in cui è stato
raffigurato. È il caso di Napoleone che dispose che sulla statua che gli aveva
fatto il Canova e che lo rappresentava come Marte
pacificatore, nudo, venisse posto stabilmente un velario.
Talora l’atteggiamento dei fruitori è
unanime, e a volte il fronte si spacca in due provocando in qualche occasione
contese e alterchi, e tentativi di sfregiare l’opera da parte di chi la
rifiuta.
E può
verificarsi qualche imprevedibile ripulsa, come quella di Buñuel che
rifiutava in blocco Guernica.
Spesso gioca in modo preponderante il
fattore politico, come nella vicenda dei comunardi che vollero distruggere la Colonna Vendôme o dei
governanti spagnoli che tenevano occultato nei magazzini il quadro di Goya
rappresentante la Fucilazione alla montagna del principe Pio. E il
nascere di un nuovo genere, come nel caso della rappresentazione di eventi di
storia contemporanea, porta, talora, ad alimentare nello spettatore lo spirito
patriottico e gli aneliti imperialistici. Mentre in altre occasioni è l’artista
che si preoccupa di comunicare il suo accordo sulle aspirazioni alla libertà
avanzate dal popolo.
Non sono solo i detentori del potere a
intervenire ma anche le autorità religiose con i loro apparati giudiziari. E
l’esame del particolare momento di tensione spirituale può in parte farci
capire l’attuarsi di censure immotivate e incredibili. Chi potrebbe oggi mettere
in discussione, come è stato fatto alla sua presentazione, il Giudizio
Universale di Michelangelo?
In epoche decisamente lontane le
testimonianze vanno ricercate all’interno di scritti di diverso genere, in
saggi di carattere generale o in confidenze epistolari che casualmente fanno
riferimento a un esemplare artistico. E bisogna dire che, in qualche caso è la
caparbietà dell’artista a provocare la rabbiosa
reazione del committente che si aspettava un prodotto diverso.
Va tenuto conto, poi, non solo delle opinioni di autori qualificati
ma anche delle reazioni della massa, come nel caso dei romani che giudicavano
ridicoli i deliziosi palazzetti rococo del
Raguzzini in piazza Sant’Ignazio.
Più agevole è la ricerca su opere di più
recente realizzazione quando i giornali si trovarono a riportare, insieme al
giudizio del critico, il resoconto delle reazioni del
pubblico. E c’è spazio per le reazioni risentite degli autori di fronte
al’incomprensione dei contemporanei.
Certo tutto questo fa parte, più che della
storia dell’arte, della storia del gusto. A questa fanno riferimento gli esempi
che qui vengono presi in esame attuando un percorso che va dal Medioevo fin
quasi ai giorni nostri.
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